Cani da guerra

Cani da guerra

 

In questo articolo non parleremo di combattimenti tra cani ne di addestramento di cani all’aggressività. Parleremo di guerra. Guerra vera e propria con soldati, trincee e feriti. E parleremo di cani, cani in guerra, per quanto questo possa sembrare strano. Un interessante libro di recentissima pubblicazione porta alla luce un aspetto ai più sconosciuto.

 

Le origini del sodalizio tra cane e uomo si perdono nella notte dei tempi. Svariate ipotesi in merito alla datazione della attività di domesticazione, in merito alle modalità ed alle motivazioni che hanno portato a questo rapporto di collaborazione, hanno come comune denominatore la figura dell’uomo sempre alla ricerca di migliorare le qualità e le prestazioni del cane al fine di trarne il massimo beneficio. La storia riporta testimonianze di svariati utilizzi dei cani in attività di fatica quali, solo per citarne alcune, traino di merce, traino della posta, movimentazione di ruote per vari usi (es. mulini, fucine).

Conoscendo l’uomo, va da se che la guerra, intesa come attività umana, sarebbe diventata presto anche una delle attività del cane, suo malgrado.

Storicamente, l’utilizzo dei cani in azioni di guerra o di lotta, spazia dalla guardia e scorta ai prigionieri già ai tempi degli egizi, a molossi e mastini lanciati all’attacco, già nel 55 avanti Cristo, contro i romani nella campagna per la conquista della Britannia, fino al non ultimo utilizzo da parte dei romani per gli spettacoli nei circhi. Durante il medioevo vennero studiate apposite armature per i cani da guerra che venivano lanciati contro la cavalleria nemica portando scompiglio e spavento tra i cavalli con il loro mordere, abbaiare e addirittura portare tizzoni ardenti.

Fu l’avvento delle armi da fuoco a far scomparire dalla tattica militare l’uso del cane da guerra inteso come cane da combattimento rendendone, anche intuitivamente, inadeguato l’utilizzo. Fino a tempi molto vicini al primo conflitto mondiale, gli eserciti mostrarono scarso interesse al loro utilizzo in azioni belliche.

Con i grossi conflitti moderni, conflitti che prevedono spostamenti per lunghi periodi in grandi territori, spesso in zone impervie e con esiti tragici riguardo a numero di morti e feriti, il termine “cane da guerra” assume una connotazione estensiva nel senso di animale impiegato per il traino, la sentinella, il trasporto di carichi, di messaggi e molto altro. Il suo ruolo non viene più visto come quello di arma di offesa contro il nemico ma come animale impiegato nelle attività belliche collaterali. Dai cani da offesa, si passa quindi ad una seconda fase nell’impiego degli animali ossia quella utilitaristica.

Nasce in Austria – Ungheria e in Germania tra la fine dell’800 e gli inizi del 900, il ruolo di “cane da sanità” il cui compito era quello di ricercare e segnalare i feriti sui campi di battaglia al fine di consentire il rapido intervento delle cure mediche. Contestualmente nasce anche una guida all’addestramento dei cani utilizzati a questi scopi e segue un attento studio sulle razze da prediligere , sulle bardature o meglio sulla inappropriatezza di equipaggiamento (borracce, medicazioni, il collare stesso) che potrebbero intralciare o rendere pericoloso, impigliandosi, il lavoro di ricerca dell’animale.

Durante il primo conflitto mondiale, tra le file dell’esercito asburgico in particolare, comparvero prepotentemente i cani e vennero loro affidati tre principali ruoli:

• cani da sanità;

• cani da traino;

• cani da compagnia.

 

Dei cani da sanità già si è accennato. Il loro compito era quello di trovare e segnalare i feriti al fine di garantire loro un tempestivo intervento medico. Le modalità di segnalazione del ritrovamento del ferito potevano essere diverse. La prima era quella di abbaiare sul posto attirando il personale medico; tecnica rapida ma non esente da problematiche. Il primo problema è che non tutti i cani abbaiano, in seconda battuta l’abbaiare di più cani poteva indurre in errore il personale rendendo difficoltosa l’azione di ritrovamento e non da ultimo, l’abbaio poteva attirare l’attenzione dei nemici. Una seconda tecnica era quella di insegnare al cane a riportare un oggetto appartenente al ferito (solitamente il berretto) e ricondurre quindi il personale sul luogo del ritrovamento.

 

I cani da traino, venivano impiegati appunto per il traino di materiale, delle merci, delle armi e dei feriti. Vennero approntate e riconvertite alcune fabbriche che lavoravano il legno al fine di costruire apposite carrette trainabili agevolmente da una coppia di cani. Spesso i tragitti erano impervi e il trasporto non poteva avvenire con carri pesanti e di grandi dimensioni. A salvaguardia del benessere degli animali, al fine di scongiurare infortuni o sovraccarichi, venne redatto una sorta di disciplinare che si addentrava su meticolose previsioni di carichi massimi, di pendenze massime dei percorsi da intraprendere e di adeguati periodi di recupero.

 

I cani da compagnia svolsero un ruolo fondamentale tra le truppe. Erano uno dei pochi legami concreti con una parvenza di normalità e di vita familiare. Una sorta di pet terapy dei giorni nostri. Molte immagini raffiguranti cani di taglie e razze inappropriate al ruolo di cani da traino e da sanità, non lasciano alcun dubbio sulla diffusione dei cani da compagnia. I cani da compagnia, il più delle volte svolgevano anche una ulteriore funzione fondamentale: quella di cani da topi.

 

Vennero istituiti corsi per i conduttori di cani da guerra allo scopo di formare binomi uomo – cane da impiegare poi in specifiche mansioni. L’addestramento aveva una durata di 6 mesi ed era molto intenso protraendosi per molte ore al giorno. I tempi e le necessità imponevano di giungere al risultato dell’addestramento nel minor tempo possibile. Al fine di convincere i cani ad addentrarsi in anfratti, a vivere in condizioni difficili e a non abbandonare il proprio lavoro di ricerca e di traino anche se accerchiati da rumori assordanti e azioni concitate, i finti feriti in addestramento nascondevano nelle mani delle salsicce da utilizzare come premio. Ai cani da sanità, oltre alle modalità di segnalazione del ferito, veniva insegnato un incedere a zig zag sul territorio al fine di coprire la maggior area possibile durante la ricerca. Erano addestrati a cercare i soli soldati feriti ignorando quelli in piedi e quelli in movimento.

In alcuni scritti dell’epoca si sono ritrovate testimonianze secondo le quali ciascun cane doveva avere due conduttori così che l’animale, se uno dei due veniva a mancare, non si trovasse privo di un compagno abituale.

I cani non erano allevati a questo scopo. Non ve ne era il tempo. Si decise di procedere con una vera e propria “chiamata alle armi”. Ciascuna famiglia doveva recarsi in un luogo stabilito con i propri cani di famiglia per procedere ad una vera e propria visita di leva. Le razze predilette erano i terrier, il pastore tedesco, il rotweiler, il dobermann ma non si disdegnavano cani meticci sani e robusti. Quelli ritenuti idonei venivano trattenuti e inviati all’addestramento e alle famiglie veniva rilasciato un certificato di arruolamento con l’impegno a restituire il cane una volta finita la guerra . In Germania, su circa 30.000 cani arruolati, circa il 10% venne reso ai proprietari a guerra cessata. Considerato il momento storico, le difficoltà e il tragico costo della guerra, il dato non è da sottovalutare. Va tenuto poi conto di particolari legami e rapporti venutisi a creare. A guerra terminata si discusse sull’opportunità o meno di reintrodurre nella società dei cani addestrati a scopi bellici e spesse volte la decisione fu quella di procedere alla soppressione dal momento che non si aveva alcuna garanzia sul loro stato mentale e sulla loro possibilità di reinserimento e recupero senza incidenti. Molte testimonianze riportano insubordinazioni da parte di conduttori che, allo scopo di salvare i cani dalla soppressione e di trattenerli con loro, dichiararono il falso certificando la morte dell’animale sul campo.

I cani erano trattati nel migliore dei modi (per quanto possibile in quelle condizioni) perché costituivano una risorsa fondamentale. Addirittura si riconosceva un valore superiore alla vita di un cane piuttosto che a quella di un soldato. Il cane, addestrato per lungo tempo ad uno scopo ben preciso era insostituibile mentre, il soldato, poteva essere ben rimpiazzato. Un rigido disciplinare imponeva che i cani fossero sempre puliti e spazzolati quotidianamente. Era stabilito un periodo di completo riposo dopo lo svolgimento delle mansioni assegnate, la cura e il riparo al caldo e all’asciutto per proteggerli da malattie legate a freddo e umidità. I cani condividevano gli alloggi con i conduttori sia al fine di garantire loro la migliore sistemazione, sia al fine di rinsaldare il rapporto. Il medesimo disciplinare imponeva che fossero alimentati con cibo caldo due volte al giorno che doveva consistere possibilmente in ritagli di carne cotta, trippa, ossa morbide di vitello, polenta, riso, patate, legumi e rimasugli di pane. Da evitare assolutamente ossa dure così come ossa di piccoli animali. Prescritta la distribuzione di acqua fresca più volte al giorno, più frequentemente in caso di caldo e stabilita per regolamento la pulizia delle ciotole (ciascun cane aveva le sue) e la rimozione degli avanzi di cibo.

I cani ammalati o feriti venivano immediatamente sottoposti alle cure dei medici veterinari del reparto di cavalleria al quale, per queste ragioni, facevano capo. In caso di incidenti o problemi di salute del cane, i conduttori dovevano attenersi al disciplinare che stabiliva istruzioni per il pronto soccorso e la dieta da somministrare per ogni evenienza: febbre, diarrea, scarso appetito, stitichezza ecc.

 

Tutte queste informazioni, i disciplinari e le indicazioni di comportamento riguardo i cani non vogliono certo nascondere un primario scopo utilitaristico nel rapporto uomo – cane. Il cane era comunque considerato uno strumento, un utilissimo e prezioso strumento da salvaguardare, curare e accudire affinché svolgesse il suo compito in condizioni ottimali. Il suo compito era quello di coadiuvare l’uomo, di servirlo e di salvare vite umane. Questa è una verità. Risulta altresì con evidenza che vi fosse comunque una sorta di rispetto nei confronti dell’animale, se così possiamo definirlo. E’ indubbio che vi fossero dei forti legami affettivi come è indubbio che i cani, dovendo lavorare in condizioni spesso disagiate, circondati da spari e rumori, in condizioni di grande stress, dovessero essere legati ai loro conduttori da un saldo rapporto che andava oltre le imposizioni e gli ordini. Un cane non motivato e non trattato adeguatamente non avrebbe mai svolto al meglio il ruolo assegnatogli. L’uomo, pur dimostrandosi niente affatto “il miglior amico del cane” avendolo trascinato in una guerra che non gli apparteneva, mostra una sorta di empatia, di condivisione della situazione avversa, di calore.

Purtroppo non tutte le situazioni sono uguali e non su tutti i fronti i cani sono stati trattati allo stesso modo e hanno goduto di queste attenzioni. Ci sono testimonianze che riportano di come alcune mute di cani (purtroppo di eserciti italiani) siano state abbandonate a loro stesse, alla fine della guerra, quando ai militari è stato impartito l’ordine di lasciare le postazioni in fretta e furia allo scopo di inseguire e catturare quanti più nemici in fuga possibile.

 

Con l’utilizzo di mezzi di trasporto a motore, più adatti agli scopi bellici e l’avvento della guerra combattuta in aria, l’impiego dei cani viene presto a cessare.

La degenerazione della figura del “cane da guerra” nelle moderne tecniche di offesa, riprende quando la guerra si fa vigliacca, quando viene a mancare quel briciolo di etica e di riconoscimento e rispetto per il solo fatto di partecipare alla medesima sventura e quel minimo di riconoscenza per il ruolo svolto.

La storia recente ha visto infatti l’utilizzato dei cani in guerra come vere e proprie armi, imbottiti di esplosivo e addestrati ad infilarsi sotto i carri armati ed infine fatti saltare in aria.

In un tempo che si ritiene (spesso a torto) progredito rispetto agli inizi del 900, niente a che vedere con un possibile rapporto uomo – cane.

 

 

Bibliografia

Cani e soldati nella prima guerra mondiale. Quattrozampe al servizio dell’umanità nell’impero asburgico.

Roberto Todero - Gaspari 2011

 

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